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Patient engagement: questione di empatia

Non c’èun’unica ricetta e serve empatia. Quella del patient engagement è unasfida complessa, ma fondamentale per la sanità. Da affrontarsi con la consapevolezzache bisogna lavorare di cesello e inmodo personalizzato senza cadere in una generalizzazione poco efficace. Losostiene l’articolo dal titolo “Patient Engagement” a firma di Narayana eMurali pubblicato nel 2019 sulla rivista PrimaryCare: Clinics in Office Practice.

La cosa curiosa, affermano gli esperti, è che l’engagementnon è innato nel paziente ma è unaconsapevolezza che deve essere instillata e coltivata grazie all’interventodi medici, caregiver e istituzioni.

Esistono infatti quattro categorie di persone conpatologia che presentano altrettanti “livelli di attivazione” del “fattoreengagement”, dal più basso di coloro che adottano un approccio passivo rispettoal proprio stato di salute al più alto di quanti sono proattivi e interagisconopositivamente con le sollecitazioni del sistema sanitario.

Riuscire acomunicare con il paziente

L’obiettivo di qualsiasi intervento che miri arendere la persona malata protagonista delle proprie scelte di salute devecomunque passare attraverso la creazionedi un contesto in grado di toccare le corde di ciascun paziente. E di fornire lui gli strumenti utili a divenireil più possibile critico e autonomo nel prendersi cura del proprio stato disalute. In altre parole non è possibile rendere attivi i pazienti, ma si puòrenderli capaci di considerare la possibilità di cambiare.

E non è cosa da poco. Soprattutto considerando che,se si ragiona in termini di populationhealth, circa il 40 per cento deidecessi sono causati da comportamenti e abitudini modificabili. Bastipensare che si stima che i malati cronici assumono solo il 50 per cento delleterapie prescritte o che tre malati su quattro non si presentano agliappuntamenti di follow-up.

Visto da un’altra prospettiva, il coinvolgimentoattivo del paziente può avere effetti molto rilevanti anche sotto il profilodei costi sanitari. I pazienti menoingaggiati sono quelli che “pesano” di più in termini di costi sanitari esociali. Viceversa quelli più attivi nel prendersi cura della propriasalute. Se si trasferiscono queste semplici considerazioni a un contesto, comequello delle malattie croniche che sono responsabili per oltre il 75 per centodei costi dei sistemi sanitari, è facile intuire la rilevanza di un patient engagement diffuso tra lapopolazione.

Strategie estrumenti per il patient engagement

Ma allora cosa è possibile fare per stimolare unprocesso virtuoso in cui i cittadini siano sempre più attenti alle propriecondizioni di salute e ritardino il più possibile il fatto di diventare “pazienti”?Cosa si può mettere in atto per far sì che i malati seguano bene le terapie, sipresentino alle visite di controllo e adottino comportamenti utili a evitarenuovi ricoveri e il ricorso all’assistenza sanitaria di alto livello?

Favorire il patientengagement significa superare le criticità incontrate dal sistema sanitarioda un lato e dai caregiver dall’altronel creare quell’ambiente stimolanteutile ai pazienti per diventare critici e consapevoli rispetto alla propriasalute. E, così, da un lato superare la miriade di tante singole azionimesse in atto dai diversi attori della filiera della salute e dall’altrotrovare soluzioni che permettano di efficientare il poco tempo a disposizionedei caregiver.

Un’interessante chiave di lettura deicomportamenti, talvolta irrazionali, dei pazienti rispetto alla salute puòarrivare dalla scienza chiamata “economia comportamentale”. Che può aiutare acomprendere, ad esempio perché si tende a seguire stili di vita dannosi per lasalute piuttosto che quelli favorevoli, o perché i pazienti non sono aderentialle terapie. Ma, ancora più interessante è comprendere che per cercare discardinare questi comportamenti possono essere d’aiuto anche specifici deviceche supportano le persone a cambiare abitudini di vita poco salutari come ilfumo o la sedentarietà.

Inquest’ottica le innovative terapie digitali, di cui fanno parte a buon dirittoanche i serious game e che sono già rimborsate dal Servizio sanitario nazionaledi Paesi come Usa e Germania, possono fare la differenza.

Molte sono poi le soluzioni che possono esseremesse in atto dai caregiver, cheproducono il massimo risultato con il minimo sforzo. Tra queste, la piùimmediata è l’istaurazione di unrapporto empatico con il malato. Esiste infatti un rapporto diretto tra lacompassione del caregiver,l’ingaggio del paziente e il suoseguente mettersi in gioco per migliorare la propria salute. E lo stesso ragionamento vale se al postodella figura del caregiver poniamo ilmedico. Il suo autentico coinvolgimento emotivo ed empatico alla situazionevissuta dal paziente determina una migliore predisposizione di quest’ultimo achiedere informazioni sul proprio stato di salute e a considerare le azioni damettere in atto per mantenerla. Come testimonia, ad esempio, la letteratura chemostra come l’aderenza alla terapia deipazienti diabetici migliora quando si instaura un rapporto interpersonale difiducia con il proprio medico.

Ci sono persino casi che dimostrano che i pazientisono maggiormente disposti a condividere maggiormente le proprie esperienze coni medici che si relazionano da seduti piuttosto che in piedi.

Esempi disuccesso

Di ulteriore rilevanza sono due esempi che arrivanodal Marshfield Clinic Health Systemamericano.

Grazie all’integrazione di sistemi di engagement tradizionali con nuovisistemi che includono portali dedicati ai pazienti, telemedicina e tecnologieinterattive, nella Heart FalilureImprovement Clinic il coinvolgimento attivo dei pazienti ha portato a unadiminuzione del 15,6 per cento del ricorso al Pronto soccorso, e dell’11,6 percento dei ricoveri ospedalieri. Oltre alla riduzione del 41,8 per centodella mortalità complessiva. Con riflessi importanti dal punto di vistaeconomico: considerando 600 pazienti lungo un arco temporale di 12 mesi si èstimato che nel 2016 siano stati risparmiaticirca 2,7 milioni di dollari.

Il programma“Hospital at home” che prevede l’assistenzadomiciliare dei pazienti acuti è riuscito ad ottenere, a fronte di unaadesione alle cure domiciliari da parte dell’88 per cento dei soggetti a cui fuproposta, una riduzione del 58 per centoin termini di riospedalizzazione.

Denominatorecomune di entrambi questi esempi di successo: l’aver considerato i pazienti come consumatori che hanno la possibilitàdi scegliere dove e come cercare assistenza sanitaria, e con cui poter lavorareper aumentare la loro motivazione e ingaggio rispetto alla propria salute.

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