Evidenziato da tutti come uno dei cardini della Sanità presente e futura, rischia di essere interpretato in modo soggettivo. Ma è fondamentale comprendere e tenere conto di tutte le prospettive.
C’è chi lo chiama “patient centricity”, chi “patient envolvement”. O ancora, “patient participation”, “patient empowerment” e ”patient engagement”. Si tratta dell’insieme di strategie e tattiche che vorrebbero ottenere come outcome ultimo un vero coinvolgimento attivo della persona con patologia. Come ben si vede osservando queste diverse terminologie, si tratta di diversi modi di interpretare e realizzare attività che hanno un importante comune denominatore: il paziente. O, come amiamo chiamarlo noi di Helaglobe, la “Persona Con”.
Ma in cosa consiste o dovrebbe consistere questo coinvolgimento attivo del paziente nel suo percorso di cura? Le fonti della letteratura scientifica che trattano di questo argomento sono molte e molto varie. Analizzandole in dettaglio ne abbiamo selezionate una trentina che riteniamo particolarmente significative e di supporto per sviscerare questo argomento, davvero tanto complesso e sfaccettato quanto rilevante per l’efficientamento e la sostenibilità dell’accesso alle cure.
Patient engagement: questione di punti di vista
Il significato che viene associato al patient engagement varia a seconda del soggetto e della prospettiva di chi lo definisce. Quando sono le istituzioni a parlarne si considera spesso l’aspetto collegato alla capacità e possibilità del sistema sanitario di riuscire a fornire un’assistenza centrata sui bisogni del paziente anche nell’ambito della scelta delle decisioni cliniche. Se invece è il mondo clinico a interpretare l’engagement, ancora troppo spesso si rischia di avere un’interpretazione molto legata all’azione del malato, che auto-coinvolgersi nel processo di cura, e poco aperta al concetto di interattività biunivoca tra la medicina, il malato e il sistema che eroga l’assistenza sanitaria. Ancora diversa è la prospettiva dell’engagement vista attraverso le lenti dei pazienti. Che manifestano il desiderio di essere protagonisti e parte attiva del proprio percorso di diagnosi e di cura, ma che indicano alcune criticità, come la necessità di essere formati e informati sulle modalità per poter agire in prima persona.
Come realizzare il patient engagement?
I vari attori che intervengono a diverso livello e titolo nel percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (Pdta) colorano il patient engagement con pennellate che attingono a colori diversi, ma tutti con analoga intensità e decisione del tratto.
Una certa comunanza di visione è collegata all’urgenza di andare sempre più a fornire un’assistenza ad personam, tenendo cioè conto non solo della patologia che interessa la “persona con”, ma anche del contesto sociale e assistenziale in cui si trova. Perché la possibilità che il malato possa seguire correttamente il suo Pdta e che gli interventi sanitari sortiscano il migliore outcome clinico dipende anche, e non in piccola parte, da come esso sarà in grado di affrontarlo da solo o con l’aiuto dei caregiver. Occorre quindi mettere a disposizione del protagonista di questo percorso tutti gli strumenti utili per comprendere la rilevanza di ciascun aspetto relativo a screening, diagnosi, aderenza alla terapia, follow-up e così via.
Occorre, in altre parole, far compiere un vero salto di qualità al background culturale della “persona con”. Con l’obiettivo ultimo, da un lato di renderla coinvolta in modo consapevole nelle scelte sanitarie che la riguardano, dall’altro di fornirle gli strumenti per valutare criticamente il proprio atteggiamento verso il sistema socio-sanitario che lo assiste nel suo complesso.
Conseguire questi traguardi è ambizioso quanto complesso. Ma è necessario. Per rendere l’accesso alle cure sempre più sostenibile. Una sostenibilità che potrà essere realizzata solo se si implementerà sempre più un modello di collaborazione attiva e multi-player tra i diversi attori del Pdta.