Tendiamo spesso a pensare che la salute fisica abbia una certa priorità rispetto a quella mentale, sottostimando sia i sintomi sia i benefici che potrebbero scaturire qualora avessimo cura anche di questa.
Nel 1948 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non soltanto l’assenza di disagio o di infermità”.
Funzionamento psichico e somatico sono estremamente correlati e questo è ormai accettato. Nonostante ciò, da un lato la medicina si è occupata dello studio del corpo, dall’altro invece, la psicologia di quello della mente. Questa dicotomia, propria della cultura occidentale, ha origini antichissime.
Dal modello biomedico…
Il mondo della scienza vive una profonda rivoluzione alla fine del XVII secolo. Cartesio considera il corpo come una macchina che poteva essere studiata nelle sue componenti e delinea un mondo suddiviso in regni distinti, da una parte la res cogitans, la mente e dall’altra la materia, la res extensa.
Il paradigma riduzionista, meccanicista e determinista, ha influenzato la scienza occidentale degli ultimi secoli, e ha permesso lo sviluppo del modello biomedico che tutt’ora caratterizza la maggior parte dell’attività in medicina.
Secondo il modello biomedico il corpo è separato dalla mente ed è la somma delle sue componenti, i tessuti gli organi e gli apparati. Le malattie, che sono dovute a cause fisiche, si diagnosticano e curano attraverso parametri biologici misurabili. Si cerca inoltre una causa primaria alle malattie alle quali si cerca un principio di causalità lineare. Ci si concentra sulle parti come gli apparati, gli organi, considerando gli aspetti psicologici come elementi a sé, e si trascura contesto familiare, sociale e ambientale.
L’interesse del medico si concentra quindi sulle informazioni relative ai dati biologici e la dimensione corporea.
…al modello biopsicosociale
Un tentativo di superare questo modello riduzionista biomedico viene effettuato da Engel, verso la fine degli anni 70, attraverso la proposta di un modello basato su presupposti sistemici: il modello biopsicosociale. Questo modello integra sistemi in ambito biologico, psicologico e sociale, rappresenta un modello moderno di spiegazione delle malattie e ha ottenuto un notevole successo, influenzando il modo di fare clinica e ricerca in tutto il mondo sanitario.
Non ci si focalizza più sulla malattia, ma sulla salute. I sintomi vengono valutati all’interno del loro contesto e si presta attenzione alle relazioni tra i sistemi che li comprendono. È un processo che non raccoglie solo dati sulla malattia ma anche sulle relazioni tra i vari sistemi, dalle funzioni d’organo coinvolte al significato che la malattia ha per l’individuo e le sue relazioni familiari. Al contrario del modello biomedico, siamo concentrati sulla complessità della vita, valutando non solo la malattia e le sue difficoltà ma anche i punti di forza e le risorse delle persone.
Al contrario di quello precedentemente descritto, il modello biopsicosociale non ha come obiettivo la guarigione ma la cura, anche quando la prima non è possibile. L’esempio classico viene dalle malattie croniche, in cui l’obiettivo dell’intervento è quello di rallentare il processo della patologia e migliorare la qualità della vita della persona, favorendole un processo di adattamento alla nuova condizione. Spostando il focus dalla guarigione alla cura, l’equipe dei professionisti coinvolti si concentra sul benessere del soggetto, piuttosto che sulla malattia.
È fondamentale inoltre valorizzare le capacità e le competenze sia del paziente che del suo caregiver. Un pensionato ad esempio potrebbe sentirsi gratificato nell’aiutare la moglie nel suo percorso fisioterapico per l’artrosi, oppure condividere con lei delle sedute in palestra. L’obiettivo che bisognerebbe porsi è quello di aumentare le capacità delle persone ed il senso di efficacia, invece che delegare al medico, in maniera tale da affrontare certe situazioni con le proprie risorse.
Aspetto indispensabile della cura è aver presente la complessità della persona e l’unicità del suo essere, che va ben oltre la mera distinzione di corpo e mente. Comprendere l’originalità e ricchezza di ognuno, attraverso una comprensione di sistemi che solo in apparenza si escludono, dà maggior rispetto all’essere umano.
Referenze
Franco Baldoni, La prospettiva psicosomatica. Dalla teoria alla pratica clinica. Bologna: Il Mulino, 2010, pp. 400