Fibromialgia: la malattia dai “mille sintomi”

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In occasione della Giornata Mondiale della Fibromialgia, abbiamo intervistato Giusy Fabio – Vice Presidente di AISF Odv (Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica).

Con lei abbiamo parlato della fibromialgia, la malattia dai “mille sintomi”, e di quali sono le difficoltà, i bisogni e le priorità delle persone che ne soffrono.

 

 

Iniziamo facendo un po’ di chiarezza, che cos’è la fibromialgia, quante persone ne soffrono nel nostro Paese e quali sono i sintomi più comuni?

La fibromialgia è una sindrome da sensibilizzazione centrale, ovvero, per cause ancora sconosciute, i neurocircuiti, soprattutto quelli preposti alla percezione e trasmissione del dolore, vanno in tilt. Di conseguenza, il nostro cervello dà degli impulsi errati al nostro organismo, quindi, quando noi sentiamo dolore, che è il sintomo cardine di questa patologia cronica, quel dolore non è immaginario, sebbene non ci sia un segno clinico che evidenzi un problema particolare. E queste alterazioni dei neurocircuiti vanno a creare dei “disservizi”, io li chiamo così, in tutto il nostro corpo. Ecco perché la fibromialgia è una malattia “dai mille sintomi”.

Il paziente fibromialgico, infatti, può avere diversi problemi, come il colon irritabile, la cistite interstiziale, la vulvodinia, l’offuscamento della vista e mille altri sintomi causati dagli impulsi errati che il cervello dà al corpo.

È una patologia molto diffusa in Italia, parliamo del 3,5% della popolazione nazionale ovvero circa 2 milioni di persone.

I sintomi predominanti, sono in primis il dolore muscolo-scheletrico, un dolore cronico che può localizzarsi in una parte del corpo, in più parti o addirittura in tutto il corpo. È un dolore che non ti lascia mai.

Un altro sintomo diffuso ed invalidante è l’astenia, una stanchezza importante, che non ti impedisce solo di fare cose impegnative ma anche di compiere i normali gesti quotidiani. Ad esempio, io mi stanco se sto un po’ di più con il braccio alzato quando mi asciugo i capelli, mi stanco per esempio perché faccio una rampa di scale o semplicemente perché passo l’aspirapolvere. È uno stato continuo di stanchezza cronica e astenia, che viene determinata anche dai disturbi del sonno, altro sintomo della fibromialgia.

In aggiunta, per la difficoltà di raggiungere la fase rem del sonno, ovvero quella del riposo fisico e mentale, molto spesso si sviluppa anche la sindrome delle “gambe senza riposo”, quindi ti vengono dei crampi fortissimi, che ti svegliano, oppure formicolii, parestesie. E così la mattina sei a pezzi e devi raccoglierli uno ad uno per poterti mettere in moto. Vi garantisco che in questo stato fai davvero tanta fatica ad affrontare la giornata.

 

Oltre ad essere Vice Presidente di AISF, lei è prima di tutto una persona con fibromialgia. Vorrebbe raccontarci la sua esperienza dal momento dell’esordio della malattia?

Io sono stata colpita da fibromialgia il 28 aprile del 2009, una data che non dimenticherò mai. Dall’oggi al domani ho avuto una febbre altissima, dolori che mi hanno completamente paralizzata e irrigidita. Non mi sono potuta più muovere e mi sono ritrovata su una sedia a rotelle.

È stato un vero e proprio stravolgimento esistenziale, a cui si aggiungeva anche la mancanza di comprensione di cosa mi stesse succedendo, perché nessuno riusciva a darmi una risposta. Sono arrivata ad una diagnosi dopo ben 7 anni. Non mi credevano, non venivo considerata e nessuno era in grado di dirmi cosa avessi, e questo è un altro aspetto che distrugge il paziente fibromialgico. Io ero sicura di avere una malattia, nonostante tutti pensassero che fossi folle, depressa, ansiosa e che avevo bisogno di vacanze, così ho deciso che avrei scoperto cosa mi stava accadendo.

Ho anche avuto la fortuna di avere una famiglia accanto, a differenza di molti pazienti che si ritrovano spesso a non poter contare sul sostegno della propria famiglia, perché troppe volte non creduti.

Quando sono arrivata alla diagnosi c’è stata finalmente la svolta, ho avuto un medico che mi ha spiegato bene la patologia, mi ha fatto comprendere pienamente la mia malattia, ed è stato in quel momento che ho sentito di aver vinto! Era tutto vero, avevo ragione, ero e sono malata realmente! Finalmente conoscevo il mio nemico ed ero certa che conoscendolo avrei vinto.

Nello stesso periodo ho conosciuto l’Associazione AISF ODV, che per me è stata fondamentale, perché mi ha dato le informazioni di cui avevo bisogno, la conoscenza della patologia e tanto supporto. E così, col tempo ho deciso che tutto ciò che avevo ricevuto dall’associazione l’avrei restituito agli altri, così sono diventata prima referente ed oggi sono vice presidente di AISF.

 

Qual è l’impatto che la fibromialgia ha sulla vita della persona che ne soffre e su quella dei familiari?

Questa malattia ha sicuramente un impatto negativo nell’ambiente lavorativo. Stando male, assentandosi spesso e senza alcun tipo di tutela, accade di frequente che la persona con fibromialgia perda il lavoro, anche perché quando lo stesso medico del lavoro ti dice “signora, lei è ipocondriaca, è meglio che se vada a lavorare”, il datore di lavoro finisce per credere che quella persona è pigra e non ha alcuna voglia di lavorare, senza comprendere così che si tratta di problematiche che non si verificano nemmeno tutti i giorni.

Molto spesso il contesto familiare è quello che ne risente in maniera significativa. Non di rado le famiglie si rompono, anche perché possono presentarsi delle difficoltà nella sfera “intima”.

La vulvodinia, ad esempio, impedisce il rapporto intimo con il partner e se quest’ultimo non comprende appieno la malattia, molto spesso si ritrova ad accusarti di non essere più la persona di prima, portando lo stesso malato a colpevolizzarsi. Ci sono rotture, quindi, anche all’interno della persona, perché finisci per ritrovarti sola, con un dolore che non è solamente del corpo o della mente ma è un “dolore dell’anima”.

D’altra parte, è una malattia difficile da comprendere anche per chi ci sta accanto, perché il familiare si sente impotente, non sa quello che deve fare e può fare, e questo genera un senso di frustrazione totale in tutti i membri della famiglia.

 

L’AISF si sta battendo da tempo per ottenere un riconoscimento formale della patologia, purtroppo ancora relegata tra le cosiddette “malattie invisibili”. A che punto è l’iter per il riconoscimento della malattia e per il suo inserimento nei livelli essenziali di assistenza (LEA)?

Sin dalla sua fondazione nel 2005, AISF Odv è impegnata attivamente nella battaglia di riconoscimento della fibromialgia come patologia cronica ed invalidante, che ricordo, invece, che ha già avuto il riconoscimento come patologia dall’OMS.

A dicembre del 2020 sul tavolo della Commissione che regola l’aggiornamento dei LEA, era presente il fascicolo della fibromialgia, ma la pandemia da Covid-19 ha rallentato tutto. Nel corso del 2021 si sono tenute poi le audizioni, le interrogazioni con la SIR (Società Italiana di Reumatologia) e finalmente sembrerebbe che il parere della Commissione sia favorevole, come ha dichiarato il Viceministro Sileri.

Tuttavia, bisogna attendere i tempi tecnici affinché ci sia finalmente l’inserimento della malattia nei LEA e la fibromialgia venga riconosciuta come malattia cronica e invalidante. Il lavoro dell’AISF non si fermerà finché non avrà raggiunto questo obiettivo fondamentale.

 

Quali sono per lei alcune delle priorità su cui occorre agire per poter migliorare la vita delle persone con fibromialgia?

Sicuramente l’educazione del paziente, la conoscenza piena della patologia e di tutta la sintomatologia ad essa correlata. La consapevolezza della propria condizione di salute permette il coinvolgimento attivo del paziente e quindi una migliore gestione della malattia. La cosiddetta “self management”, quindi, che aiuta comprendere il meccanismo alla base della malattia e a saper riconoscere i sintomi, così da avere sotto controllo la propria condizione di salute.

Altro aspetto che è strettamente collegato è ovviamente quello della “self efficacy”, che ci aiuta a usare le nostre risorse individuali e ad aumentare così la nostra capacità di adattamento ai cambiamenti imposti dalla malattia.

 

 

 

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