Disegnare nuovi modelli di assistenza sanitaria

Patient Access

A colloquio con Valentina Solfrini, responsabile Politiche del Farmaco Regione Emilia-Romagna.

L’assistenza domiciliare integrata è uno dei punti focali su cui si potrebbe investire per migliorare e potenziare l’accesso alle cure sul territorio, anche nel caso di epidemia: che direzione si sta seguendo in Emilia Romagna? L’Adi sarà potenziata? E l’home delivery?

Stiamo facendo proprio in questo periodo la consegna dei farmaci a domicilio. Sui consumi di farmaci non abbiamo registrato nei mesi di marzo e aprile riduzioni d’uso che siano campanello d’allarme di sotto-trattamenti, né sulla farmaceutica convenzionata né sull’ospedaliera. Abbiamo un buon riscontro da parte dei pazienti sulle consegne a domicilio, anche se alcuni preferiscono continuare a ritirarli di persona cogliendo l’occasione per uscire di casa. Oggi consegniamo i farmaci anche grazie all’ausilio di volontari di varie associazioni del terzo settore. Laddove è necessaria una vera e propria assistenza medica entrano in gioco medici di Medicina Generale e infermieri o Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziali).

Sul modello per l’assistenza domiciliare come Regione, pensiamo non vi siano vantaggi nell’affidare alle ditte produttrici la consegna dei farmaci a domicilio del paziente. Le ragioni sono molteplici.

In primis, perché l’assistenza domiciliare regionale funziona e siamo in grado di offrire precise garanzie di qualità tecnica e di modalità di erogazione del servizio. Per questo è nostra volontà rafforzarla, sempre sotto la nostra responsabilità.

In secondo luogo è nostro dovere, e non vogliamo rinunciarci, mantenere la responsabilità dell’attività domiciliare sulla base delle modalità che conosciamo e che possiamo tenere sotto controllo e garantire. Cosa che non potremmo fare qualora sia una ditta esterna a mandare a casa del paziente gli operatori.

A ciò si aggiunge la complessità di dover stipulare un accordo con ciascuna azienda che voglia attivare l’Adi (assistenza domiciliare integrata). Accordi che trasferirebbero a questi player, oltre alla responsabilità del servizio stesso, anche la gestione dei dati sensibili e della relativa privacy. E’ mia opinione personale che sia una strategia di marketing o di immagine delle aziende a cui possiamo rinunciare.

Come è cambiato e come cambierà il rapporto con le aziende produttrici di farmaci e dispositivi medici? Tornerà tutto come prima?

Nella nostra Regione abbiamo attivato già a settembre scorso un tavolo paritetico sull’informazione scientifica a cui siedono i rappresentanti degli informatori medico-scientifici, dei medici ospedalieri, dei medici di Medicina Generale e Pediatri di libera scelta, Farmindustria, Assogenerici e Assobiomedica. Obiettivo attuale: confrontarsi per stilare un decalogo per la “fase 2” in termini di tempi e modalità per riprendere gli incontri, magari anche a distanza fino a che vi sarà la necessità di garantire distanziamento fisico. Dal momento che stiamo effettuando anche le visite mediche in remoto, non vedo perché non si possa traslare questa pratica anche alle relazioni con le aziende, nell’ottica di non gravare sull’organizzazione dell’attività clinica, pur garantendo le caratteristiche peculiari dell’informazione scientifica che prevede un rapporto diretto tra informatore/promotore e professionista.

Come è stato impattato dall’emergenza Covid-19 il distretto biomedicale della Regione?

Il biomedicale è uno dei settori che più di altri stanno contribuendo a sostenere la sanità. Abbiamo lavorato a stretto contatto con il polo di Mirandola, che si è prodigato per favorire la riconversione della produzione di alcune aziende locali che si sono così potute dedicare, ad esempio, alla produzione di mascherine, camici e altri dispositivi rivolti anche ai pazienti. Se in passato i costi di produzione nazionali rendevano non competitive le nostre aziende rispetto a quelle cinesi, oggi la situazione internazionale è tale che anche i produttori locali possono trovare un posto nella filiera di produzione, operando per evitare che in futuro ci si ritrovi in situazioni di assoluta carenza come è avvenuto nel mese di marzo scorso.

Cosa non sarà più come prima nella Sanità?

Soprattutto l’approccio, che è già cambiato. Abbiamo dematerializzato tutto il dematerializzabile. Si svilupperà una nuova modalità di assistenza. Il teleconsulto conoscerà uno sviluppo notevole, ma bisognerà capire quale sarà il suo impatto sulla salute e sull’efficacia delle cure e sul controllo delle malattie, perché è la prima volta che lo utilizziamo in modo veramente diffuso.

Ancora non abbiamo consolidato una piattaforma regionale dedicata al teleconsulto, ma la stiamo predisponendo.

Il rischio più grande, a mio avviso, non riguarda la gestione dei servizi. Piuttosto l’opportunità di sviluppo sociale ed economico che da questa crisi potrebbe scaturire, ma che rischia di cessare sul nascere senza segnali incoraggianti dal punto di vista istituzionale.

A mio avviso, uno degli insegnamenti che possiamo trarre da questa esperienza, è la necessità di definire asset industriali strategici di supporto ai servizi sanitari che richiedono una presenza attiva da parte dello Stato e delle Regioni.

Ci sarà maggior ricerca?

La ricerca ora è totalmente focalizzata su Covid-19. Mai come in questo momento c’è tanta ricerca clinica. Non essendoci trattamenti approvati efficaci per le complicanze derivanti da questa infezione virale, Aifa ha indicato cosa può essere fatto “di routine” nell’ambito della 648 (le schede Aifa sui farmaci utilizzabili nel Covid-19). Qualunque ulteriore proposta di protocollo di trattamento è praticabile nell’ambito di studi clinici sempre approvati da Aifa, attualmente ce ne sono 20 in corso e continuamente Aifa valuta i protocolli presentati da clinici e ricercatori. Non si dovrebbe uscire da questi binari, visto il quadro di elevata incertezza nel quali ci troviamo ad operare.