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Il coinvolgimento dei pazienti come primo passo del percorso di cura

Daniela De Maggi

Patient engagement significa coinvolgimento dei pazienti. E significa far sentire il paziente ascoltato, accolto e coinvolto. Senza questi presupposti non può svilupparsi un vero dialogo tra medico e paziente e, di conseguenza, non è possibile intraprendere un percorso verso la guarigione. Ce ne parla Daniela De Maggi, Presidente dell’Associazione Fiocchetto Verde.

Che cosa è per lei il patient engagement?

Il coinvolgimento attivo del paziente è un punto cardine nel percorso di cura. Lo dico soprattutto con cognizione di causa personale, avendo subito un intervento di chirurgia bariatrica quando avevo solo 24 anni, ovvero 34 anni fa.

In quel periodo questo concetto non esisteva, ma proprio perché non se ne parlava. Il ruolo del medico era talmente istituzionale da rendere il paziente sempre un po’ imbarazzato quando doveva interagire con lui. Ed io di questo ne ho sofferto tanto, ero giovane e a disagio e non mi sentivo né ascoltata né coinvolta.

Il paziente va dal medico per guarire, e se tra medico e paziente non c’è una collaborazione, questo non può avvenire. Se il paziente è reticente a parlare perché si blocca per un senso di inadeguatezza e di timore verso il medico, allora il medico dovrebbe fare uno sforzo per favorire il dialogo.

Come definirebbe il livello attuale di patient engagement delle persone obese?

Purtroppo l’obesità è ancora una o forse la malattia più stigmatizzata. L’obesità è una malattia che non puoi nascondere mai. Tu cammini e la mostri, tu vivi, vai a scuola o lavori, qualsiasi cosa fai, mostri la tua obesità. Quindi, dalla parte del paziente c’è già una paura, una vergogna e purtroppo anche un’abitudine. Perché io che ero obesa a 5 anni, ovviamente a 30 anni ero abituata, quindi il paziente la vive un po’ come una sua condizione “normale”. Adesso, però, le cose stanno cambiando finalmente, poiché adesso si parla di stigma, ci sono dei medici che provano a non farti passare l’obesità come un “vizio” o una colpa. Quello attuale è un momento di transizione, stiamo passando dalla completa disinformazione al primo accenno di coscienza rispetto a questa malattia, perché l’obesità è una malattia.

Non solo le Associazioni ma sinceramente anche i medici, non tutti, stanno facendo un grande lavoro, di coinvolgimento dei pazienti e di “rispetto” verso di essi. Devo ammettere che i medici della mia età tendono ad essere più stigmatizzanti rispetto a quelli più giovani. La loro convinzione è che l’obesità derivi da quante calorie introduci e da quante ne consumi…quindi ti senti quasi sempre dire con grande leggerezza “non mangiare”, “mangia poco e vai a correre”! Mi chiedo come una persona di 200 kg possa andare a correre liberamente! Nessuno arriva 200 kg perché mangia, se mangia a quel livello c’è sempre un problema più profondo, che va curato.

 Quali possono essere i benefici del coinvolgimento dei pazienti?

Come ho già detto prima, l’obiettivo è quello di guarire, di migliorare una condizione e se non c’è questo coinvolgimento non avviene mai. Le faccio un piccolo esempio, quando andiamo dal medico ci andiamo con un senso di inferiorità poiché davanti a noi abbiamo una persona preparata, che sa quello che noi non sappiamo. Magari dall’altra parte troviamo un medico che non ci ascolta, che non ci coinvolge… Che cosa succede? Succede che il paziente tace. Non sa quante volte i pazienti mi raccontano, una volta usciti dalla visita, che per l’imbarazzo e la vergogna non sono riusciti a parlare e che il medico non ha fatto nulla per incoraggiare il dialogo. Quindi tutti questi discorsi sul “portiamo il paziente obeso in un percorso multidisciplinare, trattiamolo a 360°” vengono a cadere se dall’altra parte non hai il beneficio di avere un bravo professionista che ti sa ascoltare e che ti coinvolge. Se non c’è collaborazione non c’è cura.

Il paziente che non viene ascoltato, accolto, coinvolto, non solo non raggiunge il suo scopo, che è la guarigione, ma lo peggiora. Il paziente obeso è un paziente molto fragile…

La sua Associazione ha già attivato qualche iniziativa di patient engagement?

Le racconto un aneddoto. Dieci anni fa, ricordo di essermi svegliata di notte e mi sono chiesta se ci fosse un modo per abbattere, almeno per un giorno, la tipica distanza che si ritrova in uno studio medico tra medico e paziente, separati dalla scrivania e non solo. Così è nata l’idea del pranzo nazionale del Fiocchetto Verde, il primo evento della nostra Associazione che coinvolge sia i pazienti che i clinici, e che ogni anno si ripete in tutta Italia, nella stessa giornata, in circa 20 città. Si tratta di un’iniziativa a cui partecipano i medici, con le proprie famiglie, così come i pazienti con i propri familiari. Un’occasione in cui si abbatte il muro tra medico e paziente, una giornata senza camici, senza ruoli, in cui ci si siede tutti allo stesso tavolo, in un clima di festa e di scambio.

Grazie ai medici che collaborano con l’Associazione, offriamo inoltre un servizio di consulenza psicologica, fondamentale per i pazienti obesi.

Infine, oltre all’informazione giornaliera e ai convegni annuali, abbiamo realizzato, proprio durante la pandemia, tantissimi webinar in cui il paziente poteva assistere, interagire attraverso la chat e chiedere informazioni e consigli ai vari specialisti della patologia.

Quali sono le criticità nel patient engagement delle persone obese? Come si potrebbero superare?

E’ sicuramente fondamentale far capire che l‘obesità è una malattia, far capire che la persona obesa è un paziente fragile, far capire e formare i medici su questo argomento. E’ indispensabile non far passare il messaggio che il paziente obeso è pigro, indolente e che mangia porcherie dalla mattina alla sera. In primo luogo perché non è vero per tutti i pazienti, inoltre ci sono sempre dei motivi importanti dietro, che non si possono sottovalutare o banalizzare. Naturalmente, oltre alla formazione dei medici è importante anche quella del paziente. Molti si sentono solo in colpa e non sanno che l’obesità è una malattia. La persona che mangia una intera torta o 1 kg di pasta non è certo una persona che lo fa per indolenza o perché vuole semplicemente mangiare, perché le assicuro che dopo ci si sente male, da ogni punto di vista! Lo si fa per tutt’altri motivi, glielo assicuro! Bisogna provare a far rispettare questa malattia, perché l’obesità lo è, e per fortuna di recente è stata anche riconosciuta come una patologia cronica. Ma bisogna fare ancora molto per combattere lo stigma, soprattutto quello clinico.

Quanto le nuove tecnologie possono favorire, attualmente, il coinvolgimento dei pazienti?

Per il coinvolgimento dei pazienti, quando penso alla tecnologia mi vengono in mente prima di tutto i Forum, poi i gruppi Facebook e infine i webinar. Questi ultimi, in particolare, per me e per noi pazienti sono stati importantissimi in questo periodo pandemico.

E a questi aggiungo la Telemedicina, che per il paziente obeso rappresenta una grande opportunità, da approfondire e portare avanti, poiché molte persone obese hanno difficoltà ad uscire, perché non vogliono mostrarsi oppure non hanno un’automobile adeguata o chi li accompagna. Da casa si fanno seguire sicuramente di più, perché hanno meno ostacoli!

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