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Cercasi framework di ingaggio chiaro

Design with the end in mind”: per un reale patient engagement occorre coinvolgere la persona con patologia sin dalla progettazione del Pdta. A colloquio con Giampaolo Brichetto, coordinatore Ricerca Riabilitativa FISM, direttore sanitario Servizio Riabilitazione AISM Liguria.

Che cosa è per lei il patient engagement?

Per me il patient engagement è il coinvolgimento della persona con patologia. In particolare mi occupo di sclerosi multipla, nei processi di ricerca delle iniziative di ricerca, ma anche nella governance di istituzioni o di associazioni attraverso gli strumenti che permettano una co-creazione che è sostanzialmente la possibilità di camminare assieme verso un obiettivo o la missione di un’iniziativa.

Come definirebbe il livello attuale di patient engagement per le persone con sclerosi multipla?

Devo dire che le società, le MS Societies, un po’ in tutto il mondo, in particolare, forse in Europa, hanno intrapreso da anni un percorso di patient engagement efficace, che naturalmente negli anni ha subito una evoluzione dovuta alla stessa evoluzione della scienza della persona, che ha portato poi questo patient engagement a diventare sempre più efficace, sempre più coinvolgente anche in processi di ricerca che normalmente erano riservati solo ai ricercatori. Però una forte base è stata data sicuramente dalle MS Societies europee, in particolare da quella inglese.

Cosa può favorire la partecipazione del paziente?

La partecipazione del paziente è favorita dalla possibilità di parlare un linguaggio comune fra tutti gli stakeholder: il ricercatore, il clinico, la persona con sclerosi multipla, ma anche l’industria.

E poi la possibilità di identificare un framework di ingaggio chiaro non solo della persona con sclerosi multipla (Sm), ma anche della community di persone con questa patologia in modo da renderle partecipi dei processi di ricerca. A questo proposito vorrei portare e citare un progetto europeo che è coordinato dalla Fondazione di Aism e che ha avuto tra gli obiettivi proprio quello di sviluppare delle linee guida di ingaggio della persona con Sm nei processi di ricerca e cura. Il progetto si chiama “Multi Act”, è coordinato dalla Fondazione. In particolare dal direttore scientifico Paola Zaratin.

Secondo lei tutti i player del Pdta delle persone con sclerosi multipla sono ingaggiati adeguatamente per raggiungere un buon livello di patient engagement?

È una domanda molto complicata…il processo di costruzione del Pdta (Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale) è avvenuto in effetti ingaggiando diversi stakeholder. Ho partecipato personalmente al progetto di sviluppo di alcuni Pdta regionali rappresentando appunto le associazioni, insieme a istituzioni, clinici e ricercatori.

Devo dire che lo sviluppo dei Pdta è ancora lasciato alla lungimiranza, diciamo così, del gruppo di lavoro e quindi di ingaggio di diversi stakeholder comprese le persone con Sm… in alcuni casi risulta frammentario. Ritengo sia necessario sviluppare dei modelli di co-creazione e di engagement che strutturino di più questa attività, in modo da essere sicuri che tutte le iniziative che sono di base multi stakeholder seguano dei principi chiari e, appunto, un linguaggio comune.

Aism già attivato qualche iniziativa di patient engagement?

Aism è in prima linea. Coordinando il progetto europeo “Multi Act”, che adesso si sta avviando alla conclusione, ha costruito in questi tre anni di lavoro un modello, di valutazione dell’impatto di iniziative di ricerca o di processi di cura su tutti gli stakeholder…diciamo rivoluzionario, costruendo anche un modello di ingaggio delle persone con Sm. Questo modello inizia con l’ingaggio delle persone a partire dal processo di definizione della governance dell’ iniziativa di ricerca e via via lungo tutte le fasi successive. Come si dice in inglese “design with the end in mind”, progettare avendo chiaro l’obiettivo finale, grazie alle persone con Sm che fanno parte della governance.

Abbiamo costruito un sistema di misurazione dell’impatto della ricerca proprio sulle persone con Sm, in base al quale è possibile, attraverso una dimensione del framework di Multi Act, chiamata “patient reported dimension”, identificare se un’iniziativa ha un impatto sulla persona, sulla sua qualità di vita e sui suoi domini funzionali.

Può indicarci qualche esempio di patient engagement ottimale?

Recentemente abbiamo avuto modo di testare il patient engagement su un progetto su sclerosi multipla, in il cui obiettivo era quello di sviluppare una scala autoriportata, un patient reported outcome, per valutare i livelli di ansia e depressione nelle persone con Sm. Questo progetto, ancora in corso, ha due investigatori principali: una persona con Sm e un ricercatore. Insieme hanno costruito il progetto, lo hanno scritto e adesso sono nella fase di definizione dei bisogni a cui va risposto attraverso questo questionario su ansia e depressione. È un primo esempio di progetto co-creato dall’inizio con persona con Sm, con la community di persone con Sm nell’ambito su un ambito “ansia e depressione” che è stato scelto dalle stesse persone con Sm.

Quanto le nuove tecnologie attualmente possono favorire il patient engagement del paziente e quali possono essere queste tecnologie secondo lei?

Le tecnologie che possono favorire l’engagement del paziente sono quelle indossabili e quelle mobili. Per quale motivo? Perché, ritornando al concetto iniziale della necessità di parlare un linguaggio comune e avere dati dalla persona direttamente…i dispositivi indossabili ci permettono di ottenere dati della persona direttamente dal corpo del paziente, diciamo così. Questi dati possono essere utili per diverse attività, tra cui anche la possibilità di capire quale impatto viene espresso da un’iniziativa di ricerca sulla persona stessa. Queste tecnologie possono coinvolgere la persona nei processi di ricerca. Soprattutto i dispositivi mobili permettono quell’interazione con gli altri stakeholder attraverso community, chat e sistemi che legano intrinsecamente le persone stesse ai progetti di ricerca, al processo di cura. Permettono facilmente di scambiare informazioni, aumentano la consapevolezza e quindi consentono anche una maggiore aderenza ai processi di cura o all’attività di ricerca.

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